Per la prima volta, quest’anno, abbiamo seminato un piccolo appezzamento di grano per avvicinarci alla comprensione del significato del Pane. La semina di grani antichi autoctoni e la mietitura sono state manuali. Per la trebbiatura, invece, abbiamo partecipato ad una delle ancora numerose feste della trebbiatura tradizionale che fortunatamente ancora si organizzano sul nostro territorio.
Si tratta di un evento sociale molto sentito, in cui la comunità si aggrega per celebrare la conclusione di un ciclo di attività in cui non solo uomo e natura in perfetta sinergia si sostengono a vicenda, ma ognuno si sente legato all’altro da vincoli di operosa mutualità e gioiosa gratitudine.
Il duro lavoro dei campi viene ripagato dalla bellezza e dall’abbondanza del raccolto del grano, base dell’alimentazione e seme-simbolo della nostra civiltà, distinta dalla civiltà orientale del riso e da quella americana del mais. La kermesse, al suo culmine, ci ha donato l’indelebile visione di una cascata dorata e sonora di semi che dall’alto si riversava nei sacchi posti a terra, mentre la paglia, voluminosa e scompigliata, veniva pressata in forma di parallelepipedi sfavillanti ai raggi solari.
Tutt’intorno, un brulicare di gesti attenti e precisi, sapienti e antichi.
Al margine della scena, l’area “profana” con cibo, bevande e danze popolari al ritmo di fisarmoniche e tamburi.
Con un po’ di sorpresa, ci siamo ritrovati catapultati in un mondo d’altri tempi, rappresentato nelle scene di vita quotidiana di certa pittura di genere medievale e rinascimentale. Una grandiosa performance teatrale in cui, sul palcoscenico dell’aia assolata, ogni singolo individuo aveva un suo ruolo specifico, funzionale alla creazione di una realtà essenziale, semplice, corale.
La dicotomia, tipica della nostra mentalità contemporanea, fra sacro e profano, individuo e comunità, vita e lavoro si dissolveva.
Ma se è vero che “come in alto, così (è) in basso”, si può leggere la kermesse anche come il riflesso di immagini cosmiche sulla Terra: ogni attore è un pianeta che percorre la propria orbita non per se stesso ma per il sistema solare di cui è parte. Le meccaniche celesti si rispecchiano nella meccanica delle grandi macchine agricole del secondo dopoguerra costruite da un tipo di intelligenza di derivazione evidentemente leonardesca. Così, ogni moto planetario corrisponde ai precisi e cadenzati gesti umani compiuti alla luce del Sole.
Quando saranno maturi i tempi delle nuove comunità umane organizzate sulla base di rinnovati valori, ci saremo ricollegati a questo tipo di ritualità e di conoscenze per edificare un modello esistenziale in cui l’Agricoltura, da mera e arida tecnica, potrà essere diventata l’arte per eccellenza, la sintesi di tutte le arti, e sollevare l’essere umano verso nuovi, più ampi e luminosi orizzonti.
Grazie a Domenico Di Camillo per il suo impegno e la sua passione affinché tutto ciò venga custodito e non dimenticato. E grazie per la sua gentile ospitalità.