REALTÀ DEI DUE BAMBINI GESÙ – IMMAGINI DALL’ARTE ANTICA
Secondo Rudolf Steiner, Matteo e Luca parlano di due Gesù differenti, uno nato dalla linea regale salomonica della casa di Davide, l’altro dalla linea sacerdotale nathanica dello stesso casato. Secondo questa teoria, nel Gesù di Matteo si incarnò l’elevatissima individualità di Zarathustra, mentre nel Gesù di Luca si incarnò un’entità, che non si era mai incarnata e che, pertanto, era assolutamente pura. Egli non poteva imparare né esprimersi nella lingua corrente.
Oggi lo definiremmo ritardato! Era però, un’anima ricolma di bellezza, grazia, armonia e bontà, incarnazione dell’uomo primordiale, il primo Adamo paradisiaco, prima del peccato originale (Luca fa iniziare la sua genealogia proprio da Adamo! Adesso se ne può comprendere la ragione!) cioè non ancora inquinato dalle forze negative.
Un individuo completamente privo di nozioni pratiche – ed impossibilitato ad apprenderle – non avrebbe potuto compiere alcuna missione, né avrebbe potuto comunicare all’umanità un qualsivoglia messaggio. Però, avvenne un qualcosa di profondamente misterioso e soprannaturale: il Gesù di Matteo morì e il suo spirito prese possesso del Gesù di Luca. Questo si racconta nell’episodio del vangelo in cui Gesù dodicenne, essendosi perso, viene ritrovato completamente trasformato dai genitori dopo tre giorni nel tempio mentre insegna ai Dottori della Legge.
Da quel momento unì le altissime qualità spirituali di un essere mai incarnato e la sapienza, l’intelligenza, la profondità di un grande iniziato quale fu Zarathustra. Questo spiegherebbe perché il Vangelo di Luca dica esplicitamente che “tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte”. Lo stupore era ovvio: un ragazzino, fino a quel momento incapace di esprimersi correttamente nella sua lingua, improvvisamente si faceva comprendere e dissertava su importanti e difficili questioni filosofiche!
Considerando quanto appena descritto, ecco che vari dipinti dell’arte del passato che prima riuscivano enigmatici, si illuminano di una nuova luce. Nel museo di Berlino c’è un quadro di Raffaello che rappresenta una Madonna con tre bambini: la “Madonna del duca di Terranova”.
Abbiamo, a sinistra il piccolo Giovanni. E gli altri due, uno pieno d’amore sul grembo di Maria, l’altro pieno di saggezza, appoggiato alla madre? Non è necessario concludere che Raffaello abbia avuto dei due bambini Gesù una chiara conoscenza formulabile in pensieri, anche se non escludo che ciò sia stato possibile. Potrebbe darsi che, magari in relazione a una tradizione pittorica segreta, il sentimento ispirato del pittore abbia afferrato un’immagine spiritualmente esistente, proveniente da quel brano di storia dell’umanità tanto vicino al cielo, quando due bambini Gesù giocano insieme a Nazaret. Potrebbe darsi anche che il pittore non abbia saputo chiaramente che cosa dipingeva, pur sapendo di dipingere la verità.
A Milano, nella basilica di Sant’Ambrogio, si ammira un dipinto luminoso di colori del Bergognone (1455-1523): Gesù dodicenne nel tempio. In alto, nel centro, siede in cattedra un fanciullo dal viso illuminato da una sapienza dominatrice, mentre i dotti stanno ai suoi piedi.
In primo piano, a sinistra, avvolto nell’ombra, lo sguardo chino al suolo, il viso pallido, in atteggiamento stanco, un altro fanciullo, si avvia ad uscire dal tempio. Che sia stato coscientemente o meno, questo dipinto è l’esatta rappresentazione dei due fanciulli dopo la loro misteriosa fusione, che appunto si cela dietro al racconto di Gesù dodicenne nel tempio.
Esistono parecchi precursori e analoghi del dipinto del Bergognone, che suggeriscono la possibilità che in certe scuole pittoriche possa essersi tramandata, sotto forma di un motivo pittorico, una conoscenza dei due bambini Gesù. Esempio: una miniatura bizantina del IX secolo, illustrazione dell’opera “De dogmate et constitutione episcoporum” di Gregorio di Nazianzio (Parigi, Biblioteca Nazionale, Ms. gr. 510, fol. 165). Riprodotta in Rohault de Fleury: l’évangile I, XXXI, pag. 66. Per quanto si possano interpretare queste analogie come dipinti in cui le due scene diverse sono raffigurate l’una accanto all’altra, pure l’affresco milanese rivela, con l’appariscente diversità delle due figure di giovanetto, per lo meno una conoscenza istintiva del mistero che si esprime in quella scena. L’obiezione che si tratti di quadri raffiguranti due momenti diversi cade poi del tutto di fronte a un gruppo di dipinti i quali (evidentemente seguendo la tradizione di una certa scuola pittorica), nel raffigurare la scena di “Gesù dodicenne nel tempio” aggiunsero misteriosamente la figura di un secondo Gesù. Così, ad esempio, in certe opere di Gerolamo Giovenone, di Defendente Ferrari, di Martino Spanzotti e di altri, la sacra famiglia al completo, Giuseppe, Maria, e Gesù, tutti e tre caratterizzati dall’aureola, ascoltavano gli insegnamenti di Gesù dodicenne, maestosamente assiso al centro. Il fanciullo che ascolta appoggia il viso, devotamente rivolto verso l’alto, al braccio di Gesù, il quale sta parlando.
Così pure qua e là nella letteratura apocrifa dei primi secoli cristiani si ritrovano alcuni passi enigmatici, che ora sono illuminati a distanza dallo svelato mistero di Gesù. In un passo dell’apocrifo VANGELO DEGLI EGIZIANI, di cui si possiedono solo pochi frammenti, si legge: «Alla domanda di Salomé, quando sarebbe venuto il Regno, il Signore rispose: “Quando i due diventano uno e l’esterno come l’interno”»!
L’attesa di due Messia, uno sacerdotale, l’altro regale, risulta anche dai famosi manoscritti del Mar Morto, scoperti nel 1947. Com’è noto, i manoscritti del Mar Morto, scoperti nelle grotte di Qumran, provengono dalla setta degli Esseni, di cui Emil Bock ha scritto diffusamente nel volume “Cesari e Apostoli” e che menziona estesamente anche nell’opera “Infanzia e giovinezza di Gesù” (Ed. Antroposofica). Sull’attesa messianica della setta di Qumran si veda, tra l’altro, il volune “La secte de Qumran et les origines du christianisme” di Autori vari, pubblicato nel 1959 a Lovanio da Desclèe De Brouwer, pag. 124-125).
Infine, in questo dipinto di Bernart van Orley (1491-1542), SACRA FAMIGLIA CON ELISABETTA, GIOVANNINO E UN TERZO BAMBINO (San Francisco, Collezione privata), il terzo bambino, a sinistra in basso, ha un’aureola. Il pittore mette in evidenza che questo bambino, di circa due anni, sa già scrivere. Egli si appoggia su una pietra squadrata, uguale e simmetrica a quella su cui, a destra, sta in piedi il piccolo Giovanni, con tutti i suoi usuali attributi. Su questa seconda pietra si legge chiaramente (nel volume di Bock “Infanzia e giovinezza di Gesù”, op. cit.) e superfluamente il nome “Johannes”. Si può quindi immaginare che sull’altra pietra si trovi inciso, ma accuratamente nascosto, il nome del terzo bambino.
Rielaborazione di scritti di Nereo Villa e Cesare Vacca.